Transfobia da asporto
Una signora al mare raccontava alle sue amiche che nella focaccia barese c’era troppo olio e troppa mollica. Era un alimento grasso e sconsigliava il consumo. Parlava mentre mangiava gallette di riso convincendosi della loro bontà.
#zezzwoski
non sono dimostrabile
aprile 2010
Non ho mai capito se sono io a trovarmi in certe situazioni o sono le situazioni a cercare me.
Bari ora di pranzo. Il mio appuntamento è fissato per le 14:30. Decido di fare un piccolo giro per la città. Vedo una rosticceria e contemporaneamente un parcheggio. La prima è decisamente più probabile della seconda possibilità a quell’ora. Metto la retromarcia, pago il minimo al parchimetro ed entro nella rosticceria. Ho voglia di focaccia barese.
Se sei a Bari non puoi farne a meno, roba che ci rimane male San Nicola. Prima di me un tipo chiede gli ultimi tre pezzi. Sono tranquillo perché la produzione è continua. Indico con l’indice nella direzione del vassoio vuoto nel bancone scalda vivande. Il banconista risponde ruotando la testa in direzione del retro bottega dove c’è il forno: «5 minuti ed esce».
Con il forno ha sviluppato capacità relazionali e comunicative. Mi accomodo sullo sgabello vicino al bancone. Il pizzaiolo borbotta qualcosa al forno, forse sollecitandolo. Entra una coppia sui quarant’anni, lei chiede del bagno, lui sosta vicino al bancone in attesa di ordinare. La donna prende la direzione del bagno, mentre dalla porta principale entra un altro personaggio.
È alta quasi un metro e ottanta. Ha una giacchetta che stringe sui fianchi che slancia verso un seno prosperoso, un pantalone nero e delle scarpe basse, tipo ballerina intorno al 43, una grande borsa nera a manici dorati. Si poggia sul bancone per vedere il pizzaiolo, che continua la sua pubblica relazione con il forno. Saluta muovendo quattro dita come un pianista, poi mi guarda e sorridiamo.
Il tipo accanto comincia una serie di sguardi ammiccanti e unidirezionali molto espliciti. Lei mi guarda cercando di capire eventuali altre dinamiche. Lui mi guarda come in una boutique in tempo di saldi. Visto che a me non interessa capisco che ci proverà lui. Gli sguardi si incrociano ripetutamente come sul tavolo da gioco: “a chi tocca?”
Lui attacca bottone «ora arriva la focaccia», con l’occhio che trama tresche voluttuose e le palpebre che oscillano lente e suadenti. Lei sorride e ammaliante ancheggia cercando di darsi un tono. Il pizzaiolo è indeciso sulla posizione da prendere, rimanere fedele al forno o tornare verso il bancone, tuffarsi nella giostra ammiccante e dondolante di gambe sguardi e ginnastica facciale di labbra e collo.
L’ormone si taglia a fette nell’aria. Ma come spesso accade tutto si risolve in poco tempo. La focaccia è pronta, il pizzaiolo ritorna come un toro alla vista di un drappo rosso nell’arena. «Amore», dice rivolto alla donna, poi pronuncia altre parole prive di vocali che non comprendo. I tre ridono, io mi adeguo per spirito regionale.
Ancheggiano pure gli sgabelli, le gambe dei tavoli, la mantovana della tenda fuori dal locale. I due la provocano tra sguardi e mani mobili che non posso descrivere. Sento arrivare qualcuno. Un passo minaccioso e deciso di tacchi, di un piede che non poggia mai la punta e galoppa di calcagno. TAC TAC TAC. Silenzio! Si fermano mani, sguardi, ancheggiamenti e culi.
Poi comincia una sequela di imprecazioni sessiste e transfobiche che neppure nelle migliori trasmissioni di Rete4 potreste mai sentire. La faccia di bronzo del marito che da barese è mutato in longobardo in gita a Pontida. Si alza di scatto, schifato e incredulo di essere stato vicino ad un essere così volgare e indegno. Poi prende la mogliettina ed esce dal locale. Rimaniamo immersi in un silenzio profondo.
«È uscita ora… offre la casa!» Poi il pizzaiolo con imbarazzo torna a guardare il suo forno.